Se ne discute nelle stanze che contano di Palazzo di Città, a margine dell'(ennesimo) azzeramento della giunta comunale da parte del sindaco Ippazio Stefàno. Di cariche, assessorati, posti chiave nelle municipalizzate, “di interessi personali da parte di alcuni consiglieri comunali” – così ha chiosato lo stesso sindaco, qualche giorno fa, durante la conferenza stampa organizzata per dare l’annuncio delle destituzioni degli assessori. In ogni caso, si parla di tutto, tranne che della situazione in cui versa una delle leve concrete per lo sviluppo sociale culturale ed economico del territorio jonico: l’università. Con l’avvio del nuovo anno accademico, infatti, nonostante le promesse e i proclami politici sbandierati sui mezzi di informazione locali, hanno chiuso i battenti le sedi tarantine dei corsi di laurea in Scienze dei Beni culturali per il turismo e in Scienze della Formazione dell’Università di Bari.
“Ma siamo sicuri di volere l’università, in questa città?” si chiede provocatoriamente Riccardo Pagano, professore Ordinario di Pedagogia Generale presso l’Università degli studi di Bari e vicedirettore del Dipartimento jonico in Sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo. “Già, perché i segnali che abbiamo, invece, sembrano andare in tutt’altra direzione.” Spiega infatti il professore: “da due anni sono scaduti tutti gli accordi sottoscritti tra Università di Bari e gli enti territoriali. In particolare, il Patto per le azioni di sostegno e sviluppo del Polo universitario jonico sanciva una serie di impegni che ogni istituzione avrebbe dovuto assicurare al polo universitario jonico, per tre anni, dal 2011 al 2013. A firmare gli accordi insieme all’allora Rettore dell’Università di Bari, Corrado Petrocelli, furono il Comune di Taranto, la Provincia di Taranto, il Consorzio universitario jonico, la Camera di Commercio, la Scuola Sottufficiali della Marina Militare, l’Asl, l’Arpa Puglia, la Comunità delle Università Mediterranee, il consorzio Asi, la Confindustria, il Circeos, l’Autorità portuale, la Questura di Taranto e la Fondazione S. Raffaele del Mediterraneo”.
In base alle suddette intese, il Comune di Taranto avrebbe dovuto erogare centomila euro l’anno (in totale trecentomila euro) per finanziare, in parte, ciò che attualmente manca come offerta formativa sul territorio jonico, cioè il post laurea (assegni di ricerca, borse di dottorato e master riservati agli studenti tarantini). Fino ad oggi, a distanza di due anni, quindi, queste somme ancora non sono state erogate. Stessa cosa è accaduto con la Provincia. L’ente provinciale avrebbe dovuto erogare, soltanto per il 2011, cinquecentomila euro. Per le altre annualità era da definire l’entità da assegnare. Ma negli uffici di Via Anfiteatro non c’è traccia di delibera o documento di spesa che vada in tal senso. Insomma, sull’accordo di programma c’è la firma del presidente pro-tempore, Florido, ma l’impegno di spesa non c’è mai stato. Così come appare un fantasma il Consorzio universitario jonico ( Cuj), che ha sede nello stesso palazzo. Si sa solo che è commissariato dal 2005, a seguito della mancata approvazione nei termini di legge del bilancio di previsione. Nello specifico, ad un certo punto i rappresentanti di alcuni dei Comuni aderenti al Cuj cominciarono a risultare inadempienti rispetto alla quota di partecipazione ( stabilita in base alla densità abitativa di ciascun comune). Così fu nominato commissario ad acta l’attuale prefetto di Avellino, Carlo Sessa, allora funzionario della Prefettura di Taranto. Ancora oggi è lui a capo di un ente che così com’è appare completamente inutile, anche perché non si riunisce praticamente da anni.
In generale, come ci spiega ancora il prof Pagano: “solo l’intervento del Prefetto, S.E. dott. U. Guidato, ha consentito di avviare un tavolo per un nuovo patto per l’Università. Il tavolo ha appena iniziato i suoi lavori”. Non si intravede neppure alcun sostegno alla ricerca e alla innovazione da parte del tessuto produttivo locale e dei suoi organi rappresentativi. E di nuovi accordi di programma nemmeno a parlarne. In verità, di intese tra Università ed enti locali ce ne se sono stati cinque. Il primo risale al 19 novembre del 1999. I successivi furono siglati nel 2002, nel 2006, nel 2008. L’ultimo, stipulato nel gennaio 2011, non solo è stato sostanzialmente disatteso, ma è stato caratterizzato anche da propositi abbastanza fumosi. Basti pensare a quanto si annunciava nei comunicati stampa dell’epoca: “tra le novità il concomitante impegno di Asl e Fondazione S. Raffaele del Mediterraneo a spianare la strada all’ampliamento dell’offerta formativa in campo sanitario e soprattutto ad un corso di laurea in Medicina (previsti 60 posti, possibilmente anche in lingua inglese presso il nuovo ospedale). La Fondazione San Raffaele del Mediterraneo ipotizza, inoltre, attività di alta formazione tra cui una scuola internazionale di specializzazione medica in Igiene e management sanitario, nonché corsi di formazione executive per il top management delle aziende sanitarie meridionali, del Mediterraneo e dei Balcani”. A proposito, che fine hanno fatto il progetto del centro di eccellenza San Raffaele del Mediterraneo, l’omonima fondazione, oltre che la mole di soldi pubblici previsti e stanziati per la sua costruzione?
In sostanza, i maggiori enti locali e pubblici territoriali tarantini hanno “tradito” il patto economico e sociale relativo al sostegno istituzionale all’università. Perché di questo si tratta. L’unica voce di indignazione levatasi è stata quella dei consiglieri comunali di Taranto, Dante Capriulo, Francesco Venere, Paolo Ciocia (già assessore comunale all’università) e Gianni Liviano (ormai ex assessore all’industria culturale e turistica della Regione Puglia) che in una interrogazione, già nei mesi scorsi, hanno chiesto al Comune di “onorare l’impegno della corresponsione dei 300mila euro promessi a sostegno dell’accordo del triennio 2011/2013”. Risorse finanziarie che non dovrebbero essere di difficile reperimento – secondo quanto scrivono nell’interrogazione i quattro consiglieri comunali – dato che “l’amministrazione comunale sta chiudendo il bilancio con un notevole avanzo di esercizio per cui reperire i 300mila euro per garantire il consolidamento del Polo universitario jonico e il rafforzamento del corso in Beni culturali, in questo senso, non dovrebbe costituire un problema”.
“E la questione, purtroppo, non riguarda soltanto la non attuazione dell’ accordo di programma al quale avevo lavorato per lungo tempo, quale Assessore all’Università nella prima Giunta Stefàno, con il coinvolgimento di numerosi soggetti istituzionali”, dice Paolo Ciocia. “Ma è la complessiva disattenzione che, nel tempo trascorso, si è registrata intorno ad una prospettiva di centralità della cultura, della formazione e della ricerca sul territorio”. In questo senso, secondo Ciocia, “la valorizzazione della presenza universitaria avrebbe consentito anche la sperimentazione di contaminazioni positive e di un raccordo tra mondi che a Taranto sono presenti, ma spesso risultano distanti; penso al mondo dell’arte, della musica, del teatro, dell’archeologia, come della ricerca scientifica, alla valorizzazione delle risorse bibliotecarie ed archivistiche, alle scienze marine. È una responsabilità assai grave, quella di aver arrestato la creazione di un circuito virtuoso, capace di attrarre interesse e di far crescere il valore culturale della città, con ricadute in termini economici sul territorio, sia dirette, sia indirette”. E cita quel “percorso virtuoso che cominciava a dare i suoi visibili frutti, come è facile riscontrare solo pensando alle iniziative promosse presso l’attuale sede universitaria di via Duomo o nei vicini Palazzo Pantaleo o Museo Diocesano, solo per citarne alcuni”.
Abbiamo visto come è andata, al netto di alcune positive esperienze. È stato sempre così problematico il rapporto tra la classe dirigente tarantina e l’ università?
Ma Taranto ha mai voluto l’università? La domanda torna in mente consultando fonti giornalistiche d’archivio e ascoltando le testimonianze di chi, nei primi anni ’90 ( come il prof. Pagano oggi) ha dedicato le proprie energie per favorire lo sviluppo reale dell’università jonica.
“Taranto ha l’università. Oggi l’inaugurazione del corso in scienze ambientali” titolava così, in prima pagina, il 9 febbraio 1991, il Corriere del Giorno di Puglia e Lucania, spiegando che “dopo anni di battaglie combattute dall’intera città, finalmente la tanto sospirata università comincia a prendere piede”. Aggiungendo nelle pagine interne “naturalmente siamo appena agli inizi e i problemi sul tappeto sono un’infinità, al momento nessuno si decide a dare una sede all’università con tutte le necessarie infrastrutture, per cui i corsi di laurea e relative lezioni si svolgono in sedi di fortuna”. Sempre dalle cronache di quell’anno (e di quelli successivi) si evince che: “l’istituto Pacinotti è il più ospitale di tutti, è la sede che ospita le lezioni del corso di laurea in scienze ambientali e che ha messo a disposizione le aule e i laboratori, permettendo così l’avvio dei corsi”.
Dalla lettura di quelle pagine di quotidiani del 1991, si comprende quanto siano state poche, quelle personalità che a Taranto si attivano concretamente per l’istituzione universitaria. Uno di questi è Franco Scherma, fisico nucleare, allora preside dell’istituto Pacinotti. Testimonianza di un impegno riconosciuto sono tre lettere ufficiali spedite all’indirizzo del preside dell’Istituto, nel corso del 1991, rispettivamente dall’allora sindaco di Taranto, Alfengo Carducci, dal rettore dell’università degli studi di Bari, Emilio Alto, e dal presidente del corso di studi in Scienze ambientali, Michele Aresta. “Prezioso, determinante contributo relativo al corso di laurea in Scienze ambientali e ai corsi delle facoltà di Giurisprudenza e di Economia e Commercio che ha consentito di evitare di disattendere le legittime aspirazioni delle popolazioni joniche alla puntuale attivazione degli insediamenti universitari a Taranto”, scriveva l’allora sindaco democristiano. E così scrivevano rispettivamente il Rettore e il Preside del corso di laurea in Scienze ambientali: “la ospitalità concessaci va ben oltre la semplice messa a disposizione di ambienti e persone. Il Pacinotti, tramite la sua persona, ci ha accolti con amore, sacrificando, spesso, la propria attività ed elargendo, sempre, con spontaneità mezzi e lavoro”. E ancora: “la accoglienza riservataci deriva dall’amore che ella ha per la cultura, i per i giovani, per la sua città. Se da una parte devo auspicare che le competenti autorità possano rendere disponibili al più presto le strutture promesse alla nascente università jonica, dall’altra devo confessarle che lasciare il Pacinotti sarà effettivamente difficile”.
In sostanza, agli albori della sua nascita, l’università della città di Taranto, non fosse stato per la disponibilità del preside “illuminato” di un istituto tecnico e del personale dell’istituto, non avrebbe avuto neppure una sede! Poi qualcosa indubbiamente è cambiato. Anche se otto anni dopo, quando si trattò di valutare il progetto di decongestionamento dell’Università di Bari e quindi il riconoscimento dell’autonomia alle sedi di Foggia e Taranto che dall’Ateneo barese dipendevano, il giudizio per Foggia fu più che positivo. Nel report redatto nell’aprile del 1999 dall’osservatorio per la valutazione del sistema universitario si legge che: “le attuali iniziative di formazione universitaria presenti a Taranto sono assai più arretrate che a Foggia, pur avendo Taranto un bacino di utenza che sembra più ampio. L’impegno degli enti locali sembra meno incisivo di quanto lo sia per il caso di Foggia”. In effetti, si legge ancora nel rapporto, “per l’anno accademico in corso [98-99, ndr] Foggia prevede di erogare 720 borse di studio. (…) Sempre L’Edisu di Foggia sta concordando con l’Iacp di Foggia l’utilizzazione di 5 miliardi, ottenuti dalla Regione Puglia, per la realizzazione di una casa dello studente per 65 posti letto”. Di Taranto si scrive invece “si rilevano carenze nella definizione delle risorse effettivamente necessarie e dell’organizzazione complessiva, soprattutto con riferimento all’edilizi”a. È un continuo confronto tra Foggia e Taranto, il quadro d’analisi restituito dal rapporto dell’osservatorio del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica. Completamente opposte le valutazioni.
Nello stesso anno, il 5 Agosto 1999, a seguito della pubblicazione del rapporto, nasce l’Università degli studi di Foggia, istituita con decreto ministeriale. Ventiquattro anni dopo la sede di Taranto sopravvive a stento, ancora come sede decentrata dall’Università di Bari. È la lettura del rapporto ministeriale a svelare la ragione per cui, pur essendo le due città entrambe partite come poli decentrati dell’università di Bari, solo una di queste, Foggia, possedendone tutti i requisiti necessari, diventa sede di università statale autonoma. Sembra che della classe dirigente jonica non ci si sia fidati, fino in fondo.
L’8 gennaio 2014 il Miur colloca l’università di Foggia al secondo posto tra tutti gli atenei italiani nella classifica per l’attribuzione delle quote premiali nell’ambito del Fondo Finanziamento ordinario ( Ffo). Le quote premiali vengono attribuite in misura maggiore a quegli atenei che hanno operato in modo eccellente nel campo della ricerca scientifica e della sperimentazione. Foggia lo è. Oggi comprende sei dipartimenti: Scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente; Economia; Giurisprudenza; Studi umanistici; Lettere, Beni culturali, Scienze della formazione; Medicina clinica e sperimentale; Scienze mediche e chirurgiche.
A Taranto è attivo un solo dipartimento – e menomale che esiste ancora -: il “Dipartimento jonico in “Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo: societa’, ambiente, culture“, che si è collocato negli ultimi anni in posti importanti nelle classifiche di valutazione della ricerca. E solo grazie a questo ha potuto reperire i fondi necessari per il suo funzionamento. È dunque solo per questo che esiste ancora l’università a Taranto! E presso il Dipartimento jonico ci sono tremila studenti, una cifra di tutto rispetto che rappresenta il futuro della nostra città e della sua Provincia.
Mentre in queste ore, anche sull’università, la classe politica jonica si esercita sui media locali nei soliti facili e retorici discorsi campanilistici, bisognerebbe ricordare che non si sta giocando una partita di calcio. Si tratta di essere all’altezza di costruire il futuro di un territorio e di una comunità che lo abita. La questione è tutta politica. Così come la responsabilità. Che risiede in capo a una delle classi dirigenti peggiori del Mezzogiorno.