Ci sono università di serie A e serie B, ridicolo negarlo
Citando un famoso detto popolare si può affermare che Renzi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico al Politecnico di Torino, ha scoperto l’acqua calda. Dell’esistenza degli atenei di serie A e B infatti ne sono ben consapevoli gli studenti, che non solo non lo negano, ma da anni denunciano il divario esistente tra l’offerta formativa ed i servizi erogati, ad esempio, dalle università del Nord e da quelle del Sud. Ne sono ben consapevoli anche i laureati: in effetti anche se nessun governo è ancora riuscito ad abolire il valore legale del titolo di studio (l’ultimo tentativo è stato quello del Governo Monti) è ormai noto che molte aziende preferiscono candidati laureati in determinati atenei piuttosto che in altri, come se la preparazione ed il valore di una persona si possa giudicare a seconda del posto in cui ha studiato. Insomma, se si ha in mano una laurea conseguita presso un ateneo che non gode di buona credibilità, probabilmente non si viene nemmeno chiamati per il colloquio, anche se ad esempio il candidato ha frequentato uno dei corsi migliori di quell’ateneo oppure ha acquisito ulteriori conoscenze al di fuori dell’università e quindi complessivamente potrebbe essere più preparato del collega laureato nell’università di “serie A”.
Delineata la situazione attuale dell’Università Pubblica, in un paese normale con un Governo che considera l’istruzione come uno dei cardini fondamentali per lo sviluppo di Stato ormai in declino, ci si interrogherebbe sul perché esistono queste differenze e si attuerebbero tutte quelle misure necessarie per eliminarle. Questo perché tutti gli studenti devono avere le stesse possibilità, a prescindere dal posto in cui sono nati o dalla loro condizione economica; insomma si deve semplicemente applicare la nostra Costituzione.
Purtroppo però la realtà italiana è ben diversa: il Governo è pronto a tagliare risorse in qualsiasi settore in nome delle politiche europee, scaricando tutti conseguenti disservizi sui i cittadini, l’anello più debole. Non c’è da stupirsi quindi se Renzi, durante il suo discorso, ha affermato che «Ci sono già università di serie A e di serie B in Italia e rifiutare la logica del merito dentro le università e pensare che tutte siano brave è quanto di più antidemocratico vi possa essere […] Bisogna saper riconoscere il merito non possiamo pensare di portare tutte le 90 università nella competizione globale, allora ci spazzeranno via tutti quanti». Detto in parole povere: le università che, secondo i criteri dell’ANVUR, sono considerate di “serie A” continueranno ad avere fondi per didattica e ricerca e diventare quindi delle eccellenze da portare nella “competizione globale”, mentre quelle di “serie B” offriranno solo corsi di laurea e verranno abbandonate al loro destino (continuerà ad essere tagliata la didattica, servizi, le piccole sedi scompariranno del tutto).
L’ANVUR valuta la qualità degli Atenei Italiani sulla base di alcuni indicatori sulla didattica e sulla ricerca (potete leggerli qui, allegato III e IV), sulla base di questi criteri Roars ha stilato la classifica delle 20 università di serie A.
Torniamo a supporre di vivere in un paese normale, dove non esiste il baronismo, diminuzione di fondi e le riforme sbagliate con i conseguenti decreti attuativi. In quel caso potrei anche ritenere idonei i criteri dell’ANVUR ed ammettere che vi sono alcuni Atenei che per cause non dipendenti dalle scelte di Governo (es. una cattiva gestione da parta di CDA e Senato Accademico) non riescono ad avere determinati standard qualitativi, e quindi non sono “meritevoli”.
In Italia però la situazione è ben diversa: la l.133/2008 ha tagliato 1,5 miliardi di euro per l’Università Pubblica, la Riforma Gelmini (ed i decreti attuativi successivi) ha ridisegnato il sistema universitario facendo entrare i privati (che non hanno competenze in ambito universitario) nei CDA, costringendo alcuni piccoli centri universitari a chiudere strutture/corsi di laurea e ridimensionarsi (come è successo al Polo Jonico), bloccando il turn-over (viene assunto meno personale rispetto a quello necessario) e aumentando il numero di docenti garanti necessari per l’attivazione di un corso di laurea: quindi non avendo il personale necessario (causa mancate assunzioni) i corsi vengono disattivati. A questo si aggiunge il fatto che c’è una parte del Fondo di Finanziamento Ordinario, la c.d. “quota premiale”, che viene distribuita solo agli Atenei che secondo l’ANVUR conseguono i risultati migliori in termini di: qualità dell’offerta formativa, della ricerca, e della efficienza/efficacia delle sedi didattiche.Sostanzialmente gli Atenei in difficoltà sono “puniti” negando fondi e l’assunzione del personale necessario, mentre quelli “virtuosi” hanno sempre più fondi e personale: si entra quindi nel circolo vizioso secondo il quale gli Atenei di “serie A” rimarranno tali e quelli di “serie B” non potranno mai uscire dalla loro condizione di inefficienza.
Da questa logica non discosta nemmeno Renzi, il quale nell’ultima Legge di Stabilità ha tagliato fondi ad Università e Ricerca ed ha precarizzato ulteriormente la condizione dei ricercatori.
A questo punto viene difficile immaginare tutte le Università di “serie A” eccellere nel panorama internazionale, tanto per fare un esempio: Roars fa notare che nell’edizione 2014 del rapporto annuale OCSE Education at Glance sull’Istruzione nel mondo, il nostro paese non registra sicuramente dei dati positivi: fra i sei paesi che hanno ridotto la spesa complessiva sull’istruzione, l’Italia è seconda con un -11% (tra 2008 e 2011), per quanto riguarda la percentuale del PIL investita nell’Università Pubblica siamo al 35esimo posto (su un totale di 37) e questo è uno dei fattori che ha provocato l’aumento delle tasse universitarie (in Europa siamo terzi dopo Regno Unito e Paesi Bassi).
Il punto però non è solo la diminuzione dei fondi, il problema dell’inefficienza del sistema universitario italiano viene “risolto” semplicemente tagliando risorse senza agire sulle vere cause: la presenza di un massiccio meccanismo di burocrazia e raccomandazione che distribuisce cattedre ed incarichi a persone il cui unico “merito” è quello di appartenere ad una particolare famiglia o essere sotto la protezione del barone di turno. Un Governo che vuole davvero implementare un sistema universitario basato sull’efficienza agirebbe su questi aspetti oltre a reintegrare tutti i tagli all’Istruzione di questi anni, in Italia invece si preferisce investire nelle “grandi opere” per accontentare i soliti corrotti e comprare F-35. Insomma se dovessimo giudicare il “merito” dell’Esecutivo di Renzi (mantenendo l’analogia con il campionato di calcio italiano) probabilmente lo inseriremmo nel gradino più basso, quello della III categoria.
La cosa che più sorprende è che per l’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino si sia deciso di invitare il premier di un Governo che, in linea con quelli precedenti, sta visibilmente contribuendo all’indebolimento dell’Istruzione Pubblica. Hanno ragione gli studenti del collettivo Alter.POLIS i quali, accusati di aver danneggiato l’immagine del Politecnico per aver contestato Renzi, hanno affermato che la dignità il Politecnico di Torino l’ha persa «nel momento in cui si è prestato ad ospitare questa passerella, trasformandosi da istituzione pubblica di formazione e ricerca a strumento di propaganda al servizio del governo e del premier»; quello infatti doveva essere esclusivamente un momento di confronto aperto alla cittadinanza e soprattutto a chi l’università la vive ogni giorno, al fine di discutere delle problematiche presenti in quella realtà e le relative soluzioni.
Considerata l’idea del Governo Renzi sull’Università viene spontaneo chiedersi quale futuro avrà il Polo Jonico, questo infatti non rientra nella “Serie A” e, nonostante le belle parole spese dal Ministro Giannini durante l’inaugurazione del Polo Scientifico Tecnologico sull’importanza di piccoli centri come questo, sicuramente non ci sono spiragli di crescita per il futuro; è più probabile che si continui ad indebolire la didattica e diminuire i servizi.