Sapevo che prima o poi, avendo a che fare di tanto in tanto con la biblioteca comunale Acclavio, le conoscenze apprese con l’esame di biblioteconomia sarebbero servite. Biblioteconomia è uno di quegli esami che sono nel piano di studi, che pochi sono contenti di studiare, perché ci sono molte sigle, un po’ di leggi, ordine, metodologia: in sostanza è quella disciplina che studia i sistemi di classificazione, catalogazione, collocazione, distribuzione e conservazione delle opere raccolte nelle biblioteche, e quindi anche la legislazione che le regolamenta e anche tutto ciò che concerne l’organizzazione e il funzionamento di queste.
Frequentare una biblioteca comunale, più di una biblioteca universitaria, dà la dimensione di quanto possa essere difficile organizzarla al meglio perché serve conoscere leggi, saper catalogare i libri e sceglierli, rinnovare le collezioni, promuovere la lettura, saper consigliare… La biblioteca non è solo un luogo: non bastano quattro mura, delle sedie e degli scaffali pieni di libri ordinati. Ma cos’è?
Il manifesto IFLA/ Unesco per le biblioteche pubbliche, nella sua parte introduttiva, dice: “La biblioteca pubblica, via di accesso locale alla conoscenza, costituisce una condizione essenziale per l’apprendimento permanente, l’indipendenza nelle decisioni, lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali. Questo Manifesto dichiara la fede dell’UNESCO nella biblioteca pubblica come forza vitale per l’istruzione, la cultura e l’informazione e come agente indispensabile per promuovere la pace e il benessere spirituale delle menti di uomini e donne”; è decisamente impegnativo come proposito.
La biblioteca Acclavio è questo? Difficile dare una risposta, perché bisogna considerare moltissimi fattori, dai bisogni locali, dal livello di alfabetizzazione e di consapevolezza degli utenti, alle risorse finanziarie che vengono impiegate e alla preparazione del personale che vi lavora.
Non sono l’unica che si è interrogata se questo luogo-non-luogo di Taranto, situato per altro in una piazza abbastanza viva e metropolitana, sia rispondente alle esigenze dei cittadini. Qualche tempo fa ho partecipato ad un’assemblea di un neonato Comitato Utenti Biblioteca Acclavio, che si prefigge proprio di migliorare il servizio della biblioteca; all’assemblea c’erano 15-20 ragazz* e il responsabile della biblioteca, il quale ha subito messo in chiaro che “soldi non ne possiamo chiedere all’amministrazione comunale”. Ma a parte problemi risolvibili con poco come il wifi che non va molto bene e problemi come “non si trova parcheggio” (ma anche per questo prontamente si è trovata una soluzione fantasiosa), il vero, grande e unico problema emerso è che la biblioteca chiude troppo presto. Alle 18.45 bisogna essere già fuori. Forse sarebbe il caso di prolungare l’orario di apertura, potrebbe essere un piccolo tassello per aspirare a diventare una città universitaria.
Ma a questo problema nessuna soluzione, perché “soldi non ce ne sono” e non si possono fare nuove assunzioni. Da tempo la biblioteca va avanti con personale del Comune di Taranto che di tanto in tanto presta servizio in biblioteca, e che fa orari da ufficio e non certo da biblioteca. Per cui ci si trova sempre nella condizione che tutto viene rimesso al buon cuore dei dipendenti pubblici, attenti ad evitare di far straordinari.
In questo, l’Acclavio è un buon esempio di dedizione alla città e di senso civico: senza il personale che c’è ora, la biblioteca non esisterebbe. Ma se riteniamo valido quello che sancisce il manifesto Unesco, e ciò che sancisce la nostra Costituzione agli artt. 3 e 9 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma due); «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» (art. 9, comma uno), principi che possono essere attuati proprio attraverso un’efficiente e illuminata organizzazione e gestione della biblioteca pubblica, dobbiamo forse fare qualcosa in più.
Sempre secondo l’IFLA, le biblioteche pubbliche favoriscono anche lo sviluppo economico e sociale delle comunità. Dobbiamo però inquadrare questa affermazione in un modo che può apparire utopico, ma che è in fin dei conti quello più realistico: non possiamo aspettarci che la biblioteca sia una macchina da soldi che possa fare della “cultura” il proprio core business perché è inimmaginabile che un servizio che dev’essere garantito a tutti senza distinzioni possa essere a pagamento (salvo per quei servizi per i quali, come attualmente avviene, viene corrisposta una cifra simbolica di partecipazione alle spese come il prestito interbibliotecario o l’utilizzo delle sale convegni a privati o associazioni).
Ma che significa, quindi? Mi piace pensare che sia come un ambulatorio in cui trovi strumenti e persone qualificate che ti forniscono consigli, aiuto, medicazioni, che ti insegnano le regole basilari dell’igiene, ti spiegano come si fa la prevenzione o che in alcuni casi possano far da sostegno alle cure prescritte. La salute è un diritto fondamentale così come la cultura. Allo stesso modo le biblioteche possono far da sostegno all’alfabetizzazione, alla promozione della lettura, all’accesso alle informazioni e al discernimento in un’epoca di overload informativo: hanno quindi un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale delle comunità e nell’arricchimento delle loro identità.
Lo sviluppo è da intendere tanto per il futuro dei singoli e che per quello della collettività e ciò può avvenire quando le biblioteche mettono a disposizione spazi, attuano programmi culturali e quando allestiscono un’offerta adeguata – ma lungimirante – agli interessi culturali delle comunità medesime. Non solo spazi, quindi, né caffè letterari, e nemmeno volontari o cooperative di giovani guardiani, ma l’idea che nell’agenda programmatica di tutte le amministrazioni, questa e la prossima, qualunque essa sia, ci sia un investimento per il futuro e per lo sviluppo economico e sociale di questa città: personale competente con formazione adeguata e specializzata in biblioteconomia o archivistica (i giovani laureati disoccupati abbondano nella nostra città) che sappia scegliere un’offerta di libri, che promuova la lettura e attività per la formazione e l’autoformazione, allenando i nostri diritti allo sviluppo della cultura, alla libertà e al lavoro.
E poi ci conviene perché l’istruzione, la formazione e la cultura sono dei modi efficaci per la prevenzione di malattie da debellare come l’ignoranza, l’inciviltà e l’incuria, che spesso diventano dei costi sociali ed economici per la cittadinanza. E prevenire è meglio che curare, e alla lunga ti fa risparmiare.