Pubblichiamo un contributo di Gaetano De Monte, giovane giornalista tarantino, sull’operazione anti-mafia scattata lunedì a Taranto.
“Chi comanda qui?”. È la frase pronunciata da un manager di una multinazionale interessata ad installare in provincia di Taranto alcuni impianti fotovoltaici e in cerca di protezione tra i due mari, evidentemente per evitare il danneggiamento degli stessi. La frase è contenuta nelle centinaia di pagine che compongono l’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Lecce, Alcide Maritati, ha eseguito cinquantadue provvedimenti cautelari richiesti dalla Direzione distrettuale antimafia salentina. E che ha condotto in carcere, all’alba di ieri (lunedì, per chi legge), quasi tutti i vecchi capi-clan della malavita storica tarantina; e, insieme a loro, un imprenditore molto noto in Puglia – ex assessore e consigliere comunale con il Psi a cavallo tra anni ’80 e i primi anni ’90 -: Fabrizio Pomes, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni.
Già, chi comanda qui? È anche la domanda che tutti noi dovremmo porci quando le inchieste giudiziarie per mafia sfiorano – o toccano addirittura, come in questo caso – il livello del politico, cercando di allargare lo sguardo e la prospettiva oltre l’inchiesta giudiziaria e tutto quello che si apprende dal lavoro (egregio, in questo caso) svolto dai magistrati. Sforzo di analisi ampio che viene richiesto in primis a noi giornalisti, che i fatti e gli eventi siamo tenuti/costretti, a raccontarli.
Perché d’accordo, da oggi tutti sappiamo a quali commercianti hanno chiesto il pizzo i clan, a quali affari erano interessati, quanta cocaina riuscivano a movimentare in un mese, quali relazioni intessevano con altri boss pugliesi della Sacra Corona Unita. Ma la domanda di fondo, ad avviso di chi scrive, resta soltanto una. Chi comanda qui?
Nei 29 comuni che compongono la Provincia di Taranto, ad esempio, chi ha attentato dal 2011 ad oggi alle vite di alcuni consiglieri comunali e pure di qualche sindaco? E, soprattutto, perché? A cosa si erano opposti (o, perlomeno, avevano tentato di opporsi)? Al traffico di rifiuti tossici che ogni giorno avvelena i nostri territori? Alle speculazioni legate agli impianti di energia rinnovabile? A nuove lottizzazioni edilizie? Ad alcune opere gigantesche, utili solo per rimpinguare le casse personali di qualche amministratore che aveva “speso” tanto in campagna elettorale? Queste restano solo ipotesi, dato che sui responsabili di quegli attentati (l’ultimo appena una settimana fa al sindaco di San Giorgio Jonico, il terzo ai suoi danni) non è stata mai fatta piena luce. Supposizioni possibili, però, alla luce di un’opportuna conoscenza della nostra storia recente: quella degli ultimi trent’anni, perlomeno, e dei meccanismi che in taluni casi presiedono alla scelta delle rappresentanze politiche, da queste parti più che altrove.
E allora non possiamo non concordare con quello che oggi (ieri, per chi legge) scrive Mimmo Mazza sulla Gazzetta del Mezzogiorno: «c’era davvero bisogno dell’intervento della Direzione distrettuale antimafia per venire a conoscenza che nel Consiglio Comunale di Taranto siede dal 2007 Giuseppina Castellaneta, appena transitata al Nuovo Centro Destra del Ministro Alfano, a cui ieri hanno arrestato il marito per tentata estorsione ai danni del presidente dell’azienda municipalizzata di nettezza urbana Amiu, e il cognato, ritenuto il capo dell’associazione?»
Non solo. Nel consiglio comunale di Taranto, tuttora, sia tra i banchi della maggioranza che tra quelli dell’opposizione siedono almeno quattro consiglieri comunali che vantano amicizie o parentele con famiglie “di rispetto”. E, a giudicare dalle “facce” di un tempo che si sono riviste domenica 28 settembre in Prefettura durante lo spoglio per le elezioni di secondo livello delle Province, c’è poco da stare tranquilli… politicamente si intende. Tant’è. Quel che è certo è che, per dirlo ancora con le parole del caporedattore della Gazzetta del Mezzogiorno, «è arrivato il momento di finirla con il voler affidare alla magistratura l’attività di supplenza, con il delegare ai giudici scelte e selezioni che una classe politica matura, libera e trasparente potrebbe adottare da sé, abbandonando per sempre logiche di ricerca del consenso che non portano mai a qualcosa di buono». Implicitamente, si fa riferimento ai meccanismi di scambio perversi che regolano la vita elettorale prima, e quella amministrativa, poi. Ricordatevelo la prossima volta che un sindaco della nostra città sarà eletto con quasi il 70% dei consensi, in una città che in dieci anni esatti è passata dall’eleggere il picchiatore fascista Giancarlo Cito al pediatra dei poveri Ezio Stefano (eletto una prima volta addirittura come indipendente nelle file di Rifondazione Comunista, e poi passato a Sel). Qualcosa si poteva già comprendere. Ovvero che non c’era stata nessuna rivoluzione culturale introdotta attraverso il voto popolare, ma forse, più semplicemente, che i burattinai dei buoni benzina, gli stessi che procuravano i posti di lavoro nell’indotto Ilva o al Porto, avevano cambiato casacca. Perché sono loro che comandano qui. I gattopardi, cresciuti all’ombra di un potere politico debolissimo. Usciti “vincitori” e ricchissimi dalla guerra di mala che ha insanguinato le strade di Taranto a cavallo tra anni ’80 e ’90. La borghesia cozzarizzata che gestisce il ciclo dei rifiuti, del cemento, di parte della produzione industriale in serie, che gioca in borsa, investe capitali e promette posti di lavoro in cambio del voto. Sono loro che comandano qui. Non esiste nessuna gomorra, né qui né altrove in realtà. Esiste la cattiva politica e l’economia criminale. E quella buona: per dirla con un’ espressione ora inflazionata, ma che un tempo ha avuto un senso, la “Puglia Migliore”. Da non confondere, però, con “la Puglia per Vendola”. Quella purtroppo è diventata un’altra cosa, almeno qui tra i Due Mari.
Gaetano De Monte