L’uomo al centro dell’universo. La visione umanistica e rivoluzionaria del Rinascimento fiorentino, la scoperta di questa funzione di perno del mondo, ha fatto a lungo dell’essere umano il protagonista indiscusso della pittura. Poi, a diversi secoli di distanza, è arrivato Kandinskij con le sue ricerche astratte e l’uomo, inteso come soggetto, ha iniziato a scomparire dall’esperienza di molti pittori. L’arte contemporanea tuttavia ha iniziato a frequentare sia l’informale e l’astratto che il figurativo e ancora attorno all’uomo ruota la ricerca di diversi maestri. Quella di Claudia Venuto, pittrice tarantina dalla formazione toscana, mette al centro del proprio mondo la donna, in un’analisi della psiche femminile sapientemente restituita in pittura. Ne abbiamo parlato assieme.
Claudia, puoi spiegarci in cosa consiste la tua ricerca?
«Quello che da sempre mi ha affascinato nella pittura è la possibilità, mediante una trasformazione alchemica dei materiali, di tradurre in forme visive la mia interpretazione della realtà e di esprimere ciò che di misterico è racchiuso nell’uomo. Sono un’artista figurativa e l’uomo è da sempre protagonista nelle mie tele. Ciò che mi interessa raccontare con le mie opere non è la sola realtà esperibile dai sensi, bensì ciò che si pone a fondamento dell’esperienza stessa, l’intrapsichico, l’universo interiore in tutte le sue sfumature. Così al centro di tutta la mia ricerca vi è l’uomo nella sua duplice dimensione materiale e spirituale, come forma e sostanza. Ho da subito amato profondamente quegli artisti che hanno saputo farsi una sola cosa con la fragilità umana: penso ad esempio a Caravaggio o a Rembrandt, ma anche a Bacon, Freud, la Saville, ai pittori espressionisti come Schiele o Kokoshka e a Klimt; infine gli impressionisti, tutti, per l’uso rivoluzionario del colore che ha aperto nuove strade alla pittura. A tutti ho guardato, senza tralasciare ovviamente l’approfondimento di linguaggi contemporanei come quelli del cinema, della fotografia, del fumetto d’autore e sperimentale e la conoscenza di programmi di grafica digitale. Di tutto questo ed altro ancora si nutre la mia pittura, dove costante è lo sforzo di rompere l’integrità della forma per aprirla ad un altrove pregno di possibilità, nel tentativo di raccontare, attraverso sovrapposizioni, stratificazioni e trasparenze l’aspetto multidimensionale della realtà.»
I tuoi soggetti?
«Protagoniste dei miei quadri sono soprattutto le donne. Amo i soggetti femminili per la capacità che ha la donna di essere portatrice di quei valori di apertura, accoglienza, duttilità che la rendono adatta a rendere la complessità dell’esistente. La donna incarna quel principio femminino cui viene naturalmente associata la mente intuitiva, quella dimensione di coscienza che permette tramite l’intuizione di accedere all’intrapsichico, il regno delle infinite possibilità, dove tutti gli opposti si armonizzano in unità e le contraddizioni vengono trascese. L’uomo, così spesso associato alla conoscenza razionale, al pensiero logico che divide parcellizzando la realtà, è meno funzionale a rendere il senso della mia ricerca. Quando individuo un soggetto lo faccio sempre in maniera istintiva, perché vedo riflesso nella persona scelta qualche aspetto di me. L’altro diventa così specchio in cui posso veder restituito, anche in parte, il mio volto e da questo connubio nasce l’opera, dove io e il protagonista della tela diveniamo l’uno immagine speculare dell’altro.»
Parlaci un po’ delle tue esperienze espositive.
«Ho avuto la fortuna di fare esperienze diverse, di prendere parte a progetti stimolanti che hanno permesso di mettermi in discussione e di crescere come artista e come persona. Ogni mostra a cui ho partecipato è stata una tappa preziosa del viaggio. Ho incontrato artisti bravissimi, con alcuni dei quali sono nate delle belle amicizie o rapporti di profonda stima, e curatori che mi hanno arricchito e dato la possibilità di sperimentare e mettermi in gioco. Considero importante ogni esperienza vissuta perché ognuna, anche la più piccola, mi ha dato qualcosa. Così come sono felice di aver potuto esporre in tante città italiane e anche all’estero, facendo conoscere la mia ricerca. In qualche maniera coltivo la speranza di aver lasciato in chi ha visitato le mostre qualcosa di me ed è il pensiero più bello perché l’arte alla fine è condivisione.»
Quanto credi sia recepita l’arte a Taranto?
«Credo che nella città non sia ancora sedimentata una vera cultura del contemporaneo. C’è sicuramente interesse e curiosità verso l’arte ma spesso quella contemporanea viene ancora avvertita come qualcosa di estraneo e non sempre comprensibile, soprattutto nei suoi aspetti meno commerciali. Ci sono a Taranto tante realtà vive e vitali, sono nate negli ultimi anni nuove gallerie, e costanti sono gli sforzi da parte di singoli di portare avanti progetti culturali di buon livello e ampio respiro, ma non sempre questo viene accolto e sostenuto e soprattutto non sempre si riesce a fare sistema. Non ultimo se la città può contare su un valido liceo artistico, risulta penalizzata a mio avviso dalla mancanza di un’Accademia che formi i talenti e crei un polo vitale intorno al quale possano gravitare associazioni culturali e gallerie, e dall’assenza di un centro per l’arte contemporanea, di cui si è parlato per anni, senza che poi si riuscisse a dare continuità ai progetti che sono stati inaugurati, purtroppo spesso per la miopia delle istituzioni locali.»
E la tua?
«Proprio per quanto dicevo prima, a Taranto ho esposto solo tre volte. L’ultima, a ottobre di quest’anno grazie a un bel progetto sperimentale curato da Angelo Raffaele Villani di Rossocontemporaneo, che ha coinvolto validi artisti pugliesi in un’esposizione multisensoriale. Si è trattato di un’esperienza davvero interessante e innovativa. Credo che il nostro territorio abbia bisogno di progetti di questa qualità e di persone con una seria esperienza e professionalità nell’ambito del contemporaneo perché è il solo modo per fare davvero cultura e per avvicinare il pubblico a ciò che è lontano dalla sua esperienza e sensibilità.»
Claudia Venuto è uno dei tanti talenti tarantini riconosciuti in tutto il mondo e poco noti nella propria terra d’origine. Così accade che, mentre a Taranto diventa arduo organizzare una propria personale, un’opera di Claudia, esposta nel 2012 presso il Museo Benaki ad Atene in occasione della mostra Siamo tutti Greci, a cura di Giulia Demakopoulou, Direttrice del Contemporary Greek Art Institute, è entrata a far parte della collezione permanente del museo ellenico: un risultato incredibile per un’artista così giovane! Un tasto, quello del riconoscimento del valore effettivo di un artista, che continua ad essere dolente in una città come Taranto, dove ciò che è esposto segue più il criterio della retorica attorno a tematiche alla moda che della qualità artistica così come dovrebbe essere rilevata da critici di affermata fama. L’esperienza di Claudia Venuto, come quella di diversi artisti frutto vivo di questa città, torna a far rimpiangere l’assenza di una Galleria Civica di Arte Contemporanea che, assieme alla Pinacoteca Civica, costituirebbe un polo formativo di importanza capitale per la storia dell’arte a Taranto.
StecaS