È bello tornare ogni anno a fare la classifica dei dischi come il cretino che nei film dell’orrore torna nella casa maledetta perché sente un richiamo; bravo coglione muori contento che qua noi ce la spassiamo coi dischi belli di questo rocambolesco 2015.
Come sempre questa è la classifica dei dischi che mi è piaciuto di più ascoltare, non necessariamente i più belli in assoluto. Direi di iniziare che si è fatta una certa e devo portare i regali ai piccoli Remo Pezzuto e Salvatore Romeo.
10) Toro Y Moi – What For?
Chazwick Bradley Bundick in arte Toro Y Moi non ne sta sbagliando una dall’inizio del suo percorso musicale, giocando con i generi ma senza mai risultare una copia sbiadita. I suoi riferimenti anche in questo album sono quelli del soul e del r n b seventies, ma qua e là compaiono citazioni del pop rock anni 80. Io continuo a vibrare con le sue chitarrine funk e voi non potrete impedirmi di ballare sulle sue canzoni mentre metto in ordine la mia stanza.
9) Dead Weather – Dodge and Burn
Nato come progetto parallelo di Jack White insieme ad Allison Mosshart dei Kills, Jack Lawrance già basso dei Raconteurs ma soprattutto dei Greenhorners e Dean Fertita polistrumentista con curriculum d’oro.
Dodge and Burn è il loro quarto album ed il più chitarroso e secondo me il più divertente. White alla batteria è convincente e la voce di Mosshart mette nel sacco tutte le voci di qualsiasi fichetta che voglia convincervi di essere una rocker. Fertita e Lawrence non stanno a guardare ed anzi impreziosiscono un album di grande livello. Tutto è dove deve stare perché ai posti di combattimento ci sono musicisti che sanno come suonare dell’ottimo rock n’ roll.
8) Metz – II
Ad un certo punto cresci. Decidi che sei troppo grande per le canne e passi direttamente alle droghe pesanti, non ti bastano più una relazione mordi e fuggi ne vuoi due di mordi e fuggi e così fino a diventare un onesto e psicopatico membro di questa società. Ma certe cose ti rimangono sulla pelle. Per esempio un suono così violento che ritorni a quei pomeriggi dopo la scuola con tua madre che si chiede perché sei stato toccato dal demonio, oppure i testi depressivi e rabbiosi da scrivere sullo zaino che poi sul bus la signora penserà che sei solo un altro tossico, ecco se la vostra adolescenza non è stata questo forse non capirete la bellezza violenta di questo album, ma dovreste provarci.
7) Will Butler – Policy
Il fratellino di Win, leader degli Arcade Fire, approfitta della pausa della band madre e registra un buon disco solista. Suona quasi tutto lui tranne la batteria affidata a Jerry Gara, attuale batterista degli Arcade Fire. È un disco rock, ma vario: ci sono riferimenti a certo rock glam anni 70, classico rock n’ roll e qualche accenno di disco e ballate strappacuore. Non c’è traccia qui della pomposità degli A.F., tutto è frutto di una persona sola che si diverte a registrare un disco senza per forza dover tirare fuori l’ennesimo capolavoro che ormai siamo abituati a sentire da Win Butler e soci. È ottima musica, questo basta.
6) Protomartyr – The Agent Intellect
Sempre sia lodata Detroit per tutta la musica che ci ha dato. Non fanno eccezione i Protomartyr al loro secondo disco. Pur vantando origini nobili le radici musicali della band sono ben piantate nell’Inghilterra di fine settanta, quella del post punk; genere mai tramontato e continua fonte di ispirazione per migliaia di band. Alla voce c’è Joe Casey che spesso si atteggia a poeta ubriaco e sembra riuscirgli bene quando si mette a declamare più che cantare, dall’altra parte c’è una band compatta che sa come rispondere alternando una calma apparente ad una furia incontrollata. È questa contrapposizione che rende interessante il disco, che non risulta così una copia sbiadita dei modelli originali.
5) Verdena – Enkadenz Vol. 1 e 2
Pur essendo usciti in periodi diversi dell’anno i due volumi sono stati scritti insieme senza alcuna distinzione, per cui eccoli qui. Rispetto a WOW questa volta nella spartizione delle canzoni nei due album si avverte un certo criterio: là dove nel Vol. 1 si trovano gli episodi più accessibili e virati al pop, che sembrano rimandare a quanto fatto dalla band nel periodo precedente WOW; nel Vol. 2 sembra intravvedersi la possibile strada futura dei tre bergamaschi, fatta di nuove sonorità che guardano altrove al mondo hardcore/stoner che fino ad oggi è stato il loro terreno di gioco. Tutto questo però senza mai del tutto abbandonare le chitarre abrasive e quella batteria di Luca Ferrari così maestosa che ti rimanda sempre al compianto John Bonham. Io personalmente rimango più legato al Vol. 1 per la sua capacità di catturarmi immediatamente, non si può però negare che il Vol. 2 sia la dimostrazione che questa band abbia ancora molto da far sentire. Maestri.
4) Sufjan Stevens – Carrie & Lowell
Per chi non conosce Sufjan Stevens sappia che è uno degli artisti più importanti del folk. Negli anni ha saputo declinare la sua musica in mille maniere diverse sempre convincenti. In molti lo aspettavano e lui tira fuori questo Carrie & Lowell. Antefatto: nel 2012 muore la madre di Stevens alla quale dedica l’intero disco. È un disco scarno, chitarra voce e poco altro, ma non è il disco che vi potreste aspettare vista la premessa. C&L è un disco dalla tenerezza struggente nel quale Sufjan elabora il suo lutto. È un album a cui tornare tante volte, come è successo a me perché offre riparo dai momenti difficili, una sorta di pit stop emotivo, dovete essere davvero cattivi o votare PD per non apprezzarlo.
3) Thee Oh Sees – Mutilator Defeated At Last
Da che faccio questa classifica credo non sia mancato mai un album dei Thee Oh Sees. Forse perché pubblicano un album all’anno se non anche due e sono bellissimi. I TOS hanno inventato la loro personale formula dell’eterna giovinezza artistica a base di garage rock, psichedelica e noise. In ogni album arrivano fortissimi al cervello e te lo rapiscono finche non è finita l’ultima traccia del disco. Anche in MutilatorDefeated At Last succede la stessa cosa e ci si ritrova a muovere la testa violentemente e a desiderare di pogare con chiunque abbia la sventura di trovarsi nelle vicinanze.
2) Calcutta – Mainstream
Esiste un mondo fatato chiamato “Indie italiano” dove ogni giorno c’è un nuovo dio della musica che un minuto dopo è già caduto agli inferi. È la stessa cosa che è successa a Calcutta. Edoardo Calcutta è un cantautore di Latina qui alla sua seconda prova. Mainstream è stato spinto tantissimo in questi mesi, secondo alcuni anche troppo. Promozione a parte per me è stato un gran disco, per le sue melodie immediate, per quelle parole semplici che ti rimangono in testa e per quella voce imperfetta. Lasciate la menata sul capolavoro a chi ha tempo da perdere, ora sedetevi e date una possibilità a questo disco.
1) Colapesce – Egomostro
Non ho avuto dubbi su chi sarebbe stato al vertice di questa classifica. Avevo apprezzato Lorenzo Urciullo (vero nome di Colapesce) già col suo esordio “Un Meraviglioso Declino”, un album che pur avendo le proprie origini nel cantautorato italiano, mostrava la personalità di un artista originale. Tre anni di attesa ed ecco la sorpresa: Egomostro.
Un album che pur mantenendo quell’impianto nel proprio d.n.a. è secondo me un passo avanti. Merito della grande varietà all’interno del disco, grazie a degli arrangiamenti accurati che hanno permesso di superare una certa monotonia che era l’unico difetto dell’album precedente. Il lavoro di produzione non ha messo in secondo piano i testi; rimane quella capacità di raccontare il reale attraverso piccoli particolari di ogni giorno, la quotidianità che si fa poesia. Ad ogni ascolto l’album ti entra dentro e pian piano quelle parole, che ad un primo ascolto sembrano poco chiare, svelano tutto un mondo grazie alla musica che qui è la chiave per entrare nel mondo di Colapesce.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo
Jonathan Wilson, Fanfare, 2013;