Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Gaetano De Monte sul rapporto fra potere e gestione dei rifiuti in Puglia. Più in generale, si tratta di un tentativo di analizzare l’eredità dei governi Vendola, focalizzando l’attenzione su un versante particolarmente delicato. Riteniamo importante approfondire questo sforzo, a pochi mesi da una scadenza elettorale che sembra aver rimosso l’esigenza di una seria riflessione consuntiva sulle vicende regionali degli ultimi dieci anni. Invitiamo dunque chiunque voglia esprimere il suo punto di vista questo tema a inoltrarci il suo contributo.
Febbraio 2015. Puglia. Si avvia alla conclusione l’esperienza di governo della giunta Vendola, e con essa volge al termine il decennio ribattezzato “Primavera pugliese”, portandosi dietro tutte le ansie di riscatto, gli interrogativi, le criticità, i risultati positivi di quella che rimane, comunque, una originale sperimentazione sul piano della rappresentanza politica. Con poche similitudini in Italia. Si pensi agli investimenti notevoli in cultura e formazione, nelle arti, e a quelli per le politiche giovanili, su tutti.
Eppure come giudicare, realmente, il governo di Nichi Vendola? Eletto a furor di popolo grazie all’autonomia di pensiero mostrata dai giovani pugliesi, dalle associazioni (ambientaliste e di altro tipo), dalla buona borghesia e dai catto-comunisti pugliesi, negli anni ha deluso un po’ tutti.
Le note vicissitudini legate alla questione Ilva, l’estrema debolezza delle politiche ambientali, il coinvolgimento in significative vicende giudiziarie di due assessori della sua Giunta, le campagne mediatiche promosse da diversi media locali: questi i principali fattori che hanno contribuito ad azzoppare il leader maximo di Terlizzi, per un periodo astro nascente della sinistra italiana. A fronte di ciò, va comunque considerato il livello di complessità insito nel governare una Regione in cui nei dieci precedenti “avevano comandato” i vari Cito, Fitto, Franzoso, Rosanna Di Bello. Tant’è.
Vendola, in realtà, ci ha messo abbondantemente del suo per rovinarsi politicamente: il complesso di inferiorità mostrato nei confronti dei “padroni economici” – i Don Verzè, i Riva, le multinazionali come Eni – e gli accordi che ha dovuto sottoscrivere col PD e coi diversi notabili del ceto politico regionale hanno spento in buona parte i “bollenti spiriti” della primavera pugliese.
Tuttavia, l’occasione per ragionare attorno al tema di quale Puglia ci consegna il decennio vendoliano ci è dato non tanto dalle imminenti scadenze politico istituzionali, quanto dalla pubblicazione, nei giorni scorsi, di alcuni dati. Questi sono contenuti rispettivamente nella “Relazione annuale delle attività della direzione distrettuale antimafia di Lecce”, presentata a fine gennaio durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, nella “Relazione del primo semestre 2014 sulle attività della direzione investigativa antimafia”, presentata qualche giorno fa al Parlamento e, infine, da quanto emerso dai risultati del piano regionale di monitoraggio delle discariche e dei siti inquinati.
“Dal 2007 al gennaio 2015 sono state 3.154 le sole discariche abusive scoperte”, ha dichiarato l’assessore alla qualità dell’ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro, durante la conferenza stampa che si è tenuta lunedì 2 febbraio per presentare i risultati della Convenzione che ha visto coinvolti nel monitoraggio del territorio Arpa, Cnr, Guardia di Finanza, il Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei Carabinieri e la Guardia Forestale. I numeri sono spaventosi, in particolare per la provincia di Taranto, dove si trovano 781 siti inquinati, un quarto del totale. Segue il territorio di Lecce, che però ha un’estensione più vasta, con 720 discariche abusive scoperte nello stesso periodo.
Dunque, la Puglia oggi è profondamente inquinata, e non solo per i numeri di cui sopra, che segnalano l’abbandono incontrollato dei rifiuti nelle campagne, come la politica dei protocolli di intesa ci vuol lasciare intendere. Si vive a contatto con una potenziale bomba ecologica a cielo aperto a causa degli effetti dello sviluppo economico perverso degli ultimi cinquant’anni. Perché nessun reale intervento migliorativo è stato mai effettuato attorno ai poli industriali di Brindisi e Taranto. Perché proprio lungo l’asse di queste province continuano ad insistere enormi discariche per rifiuti speciali che non sono mai state controllate. Perché nessuna bonifica è mai intervenuta, ad esempio, nell’area della discarica di Micorosa situata nei pressi del porto di Brindisi, che contiene ancora, su cinquanta ettari di terreno, oltre un milione di metri cubi di fanghi tossici abbandonati lì da 30 anni. Da quando, cioè, l’area fanghi del petrolchimico, già di proprietà della Montecatini (poi diventata Montedison e dopo ancora Enichem) venne abbandonata a metà degli anni ’80. Fu Massimo Ferrarese, allora un giovane rampollo dell’imprenditoria pugliese, oggi Presidente della provincia di Brindisi, ad acquisire quell’area. Viene così costituita la società Micorosa, allo scopo di trasformare quei rifiuti tossici in materiali per l’edilizia; ma, a fronte di un finanziamento pubblico di quattro miliardi delle vecchie lire, la società nel 2000 fallisce. Con buona pace di chi ha inquinato nel passato, e di chi ha speculato nel presente.
Oggi la Puglia rimane ancora quella delle grandi famiglie legate al cemento e alla “monnezza”: dei Matarrese, dei Montinaro, dei Ferrarese. È una regione in mano ad imprenditori come Antonio Albanese, “il signore dei rifiuti” di Massafra o come il tarantino Saverio Caramia che, grazie a buone entrature, durante l’emergenza dei rifiuti campana ha fatto fior di affari, accogliendo nella sua “Italcave” – discarica per rifiuti speciali situata nei pressi dell’area Ilva – ogni sorta di pattume. Saverio Columella, presidente del Matera Calcio, è un altro ras dei rifiuti. Barese, figlio d’arte, gestisce appalti con la società di cui è amministratore, la Tradeco, in mezza Regione, con interessi ramificati anche nella vicina Basilicata. Di recente è finito sotto inchiesta della Procura di Bari per usura, e nel passato è finito più volte nelle informative dei carabinieri del nucleo operativo di Bari sospettato di gravi reati. Ciò non gli ha impedito di fare affari anche con gli appalti commissionati dalla Regione.
È questa la Puglia migliore? È questo ciò che rimane di dieci anni di governo Vendola? Certo che no. Ma se c’è una colpa storica dell’Amministrazione Regionale in questi anni è proprio quella di essersi piegata agli interessi dei padroni di Puglia. Rifiutando di mettere in campo quella rivoluzione economica e politica, che in buona parte è rimasta soltanto auspicata. Certo, c’era un tessuto profondamente inquinato dal malaffare da bonificare, innanzitutto. Se non ci si è riusciti del tutto, la responsabilità è anche (soprattutto) della borghesia locale, che continua ad essere quella arraffona descritta da Tommaso Fiore ormai cinquant’anni fa. Quei moralisti presenti nel mondo della politica, dell’economia e anche dell’informazione pugliese, che oggi tuonano contro i guasti prodotti dal vendolismo, li ricordiamo a loro agio nei salotti ad accesso limitato ed esclusivo, a contatto con chi da sempre fa affari sulla pelle dei cittadini e dei lavoratori.
Perciò non è a loro che Vendola deve dar conto delle scelte di questi anni, ma alle migliaia di studenti pugliesi andati via, e ritornati ricchi di sapere e competenze, convinti di trovare la dimensione che meritavano. Ad aspettarli però hanno trovato i soliti gattopardi da cui erano stati costretti a fuggire, in certi casi diventati nel frattempo più forti e potenti di prima. È a quei giovani che l’uomo politico che aveva incarnato il mito del buon governo dovrà spiegare perché ci si trova di fronte ad una regione perennemente in bilico: tra attentati agli amministratori, bombe ecologiche, infiltrazioni della malavita nelle istituzioni locali, e altissimi tassi di disoccupazione.
Gaetano De Monte