Difficile, per chi si imbatta nella lettura di Italia Evolution. Crescere con la cultura (Meltemi 2018) non entrare in un loop di connessioni, collegamenti, verifica dei tanti riferimenti che Christian Caliandro semina – e si tratta proprio di una semina, nel vero senso del termine – nel suo ultimo lavoro. Si tratta della chiusura di una trilogia iniziata con Italia Reloaded. Ripartire con la cultura (Il Mulino 2011, con Pier Luigi Sacco), passata per Italia Revolution. Rinascere con la cultura (Bompiani 2013), che si propone di fare luce su alcune questioni centrali legate alla cultura e alla sua percezione.
In tal senso, Italia Evolution è senza dubbio l’approdo più meditato di un’elaborazione interiore e conflittuale che diviene, generosamente, materia collettiva sulla cultura, il suo concetto controverso, la sua percezione nella società contemporanea. Christian Caliandro, nelle tre parti di cui si compone il libro, racconta la realtà culturale attraverso un flusso di coscienza, una esondazione di pensieri che, man mano che si scorrono le righe, sembrano sempre più nostri, come se prendessero vita nella nostra mente, aprendo orizzonti che sino a quel momento sembravano inesplorati. Caliandro scompone, analizza, astrae, ricompone e risolve: traccia vie concrete su quelle che sembrano macerie.
Tante parole diventate luoghi comuni, si rivestono qui nuovi significati grazie a un’abile, intelligente ri-categorizzazione: sequestro, amarezza, bellezza, arte, identità, cultura ma, probabilmente, anche Italia. E, assieme a questo nuovo modo di leggere e vivere questi termini, ci sono delle prese di posizione molto forti che, talvolta con il tono di chi ne ha sentite fin troppe [tutte uguali, tutte rigorosamente uguali, come avviene nelle farse], si impongono al lettore e obbligano a una riflessione: il Sessantotto, il classismo, la responsabilità, la superficialità delle analisi e le torri d’avorio accademiche, la loro passione per l’iperspecializzazione. Ma anche sul turismo, sull’illusione che un gigantesco parco divertimenti possa sostituire il fascino della vita vera che è ciò che dona a un luogo l’autenticità, il suo essere intimamente unico.
E poi c’è una convinzione, che è a monte di questo lavoro come è stato esito dell’altro: la percezione che esistano delle realtà – che in Italia Revolution erano le capitali spettrali mentre qui esplodono in zone interdette – in cui paradossalmente le crisi può diventare motore di un nuovo modo di fare cultura e di salvare la società. Lo fa l’arte ma ben fuori dai musei, dai grandi allestimenti, dai display. Lo fa una quantità indefinita di organizzazioni, associazioni, centri propulsori di cultura che operano fuori dai circuiti ufficiali della cultura “alta”, ma che riescono ad affrancarsi da quei meccanismi di eccessiva semplificazione che caratterizzano il pensare contemporaneo. Particolarmente affascinante, nella seconda parte, è l’ indagine di un vuoto, di quella che l’autore chiama frattura: gli anni Quaranta. La vita, la storia, l’arte e i suoi movimenti che conducono sino a quest’oggi così incerto. E l’evocazione degli spettri – non quelli che immaginiamo, qui è tutto da rileggere, riscoprire, ricollocare – dei dinosauri che cadono e, a tratti, a passi silenti, del gigantesco Francesco Borromini.
La terza parte, in particolare, affronta la nuova visione che alcuni artisti portano avanti sui territori, coinvolgendo la realtà che li circonda, interrogando la società, esistendo con essa e grazie a essa: Alessandro Bulgini a Taranto ne è un esempio. Ma Taranto, pur non nominata spesso, sembra quasi essere la trama nascosta del libro che, talvolta, sembra emergere come dal mare, con la stessa timidezza con la quale sta al mondo, raccontata come l’inferno in terra quando, in realtà, potrebbe avere potenzialità enormi e che non sono quelle che comunemente si immaginano.
Qualunque conclusione semplice, pacifica è bandita dal libro. Che non vuol dire che sia un libro difficile da leggere, anzi. È un libro scorrevole ma denso, che ci impone di aprire la mente e aprirci a nuove visioni. Osare nuove visioni. A volte possono sembrare dissacranti, ma l’intento è andare oltre la superficie, grattare la scorza e vedere, dentro, com’è. E se si comprende il dentro, si guarda in modo diverso anche il fuori. I sentieri tracciati sono molteplici: si intrecciano, convergono, divergono. Consentono una scelta.
Leggendo ci si accorge di quello che c’è e di quello che manca. Tra le grandi assenti di questa nostra epoca, l’autenticità, ancora una volta, quella che l’autore definisce come un «far vedere la sofferenza senza pietismi, o esibizionismi».
Che nella società dell’apparire è, poi, la sfida più grande.
StecaS