La notizia secondo cui la città di Taranto, ed in particolare il suo porto, diventeranno a breve un Hub per la prima accoglienza dei profughi che giungono sulle nostre coste in fuga da guerre e miseria ha suscitato, come è noto, diverse reazioni.
Oltre ai titoloni di alcuni quotidiani che hanno soffiato sul fuoco della paura cercando di alimentare tensioni inutili e ingiustificate – “Immigrati tutti a Taranto”, “Profughi la città deve reagire”, “Profughi è allarme in città”, solo per citarne alcuni –, ciò che colpisce è il livello, generalmente basso, del dibattito che si è scatenato.
Sui social network, così come per strada, è facile imbattersi nel più classico dei “non sono razzista ma…”: locuzione abbondantemente usata per giustificare una presunta contrarietà alla possibile scelta del Governo Renzi di usare il porto di Taranto – in virtù della sua posizione geografica – come scalo privilegiato per accogliere temporaneamente i migranti prima di individuare soluzioni definitive. In generale si è assistito, come è stato già detto su queste stesse colonne “al dilagare di una irrazionalità di massa quanto mai pericolosa”. Ha stupito che a rilasciare dichiarazioni più o meno di questo tenore siano state proprio alcune organizzazioni in prima linea nell’accoglienza ai migranti. “Speriamo che l’Isis non si sposti a Taranto”, è stato dichiarato. Oppure, si sono espresse preoccupazioni “sulla compromissione delle speranze di rilancio del porto di Taranto proprio ora che i primi cantieri si stanno aprendo”.
“Il pericolo turistico”, poi, è stato avanzato da alcune associazioni che si occuperebbero di “altra-economia”. In alcuni di questi interventi la cosiddetta “bomba migranti” è stata accostata agli scempi di cui il territorio di Taranto è stato vittima nel corso della sua storia più o meno recente. In una nota stampa diffusa da una di queste associazioni, si legge in particolare che: “Taranto, oltre a tenersi i fumi dell’Ilva e dell’Eni, le discariche, e le polveri della Cementir, ora deve sobbarcarsi anche 500.000 profughi”. E poi, ancora: “si parla tanto di rilancio della città sotto il profilo del turismo e dello sviluppo e 500.000 profughi rappresentano un rischio concreto per allontanare qualsiasi speranza di cambiamento”. Lo stesso portavoce dell’associazione in questione ha poi tenuto ad aggiungere: “sia chiaro: il problema in sé non sono i profughi. Ma, in una terra come la nostra, già da decenni usurpata e bistrattata l’unica cosa da fare è pretendere investimenti concreti in favore del suo rilancio”. Infine, in un capolavoro di eloquenza ha aggiunto: “prima il Pil, poi la questione rifiuti, poi ancora il petrolio, ora i profughi”.
Nell’esercizio del “non sono razzista ma” si sono abbondantemente esercitati anche alcuni politici locali. Immancabili nel ricordare l’identità tarantina minacciata, puntuali ad agitare lo spauracchio dell’emergenza, sono stati i rappresentanti del gruppo di Forza Italia in Consiglio Comunale – che a Taranto annovera anche gli esponenti eletti con il movimento populista “AT6 – Lega d’azione meridionale”, fondato venticinque anni fa dall’ex parlamentare e sindaco Gian Carlo Cito. In quest’ottica si colloca l’iniziativa del consigliere comunale di Forza Italia, Giampaolo Vietri, già eletto in passato con il movimento di Cito, che ha annunciato la presentazione di una mozione nella prossima seduta del Consiglio Comunale, in programma il prossimo 19 marzo, “con la quale esprimerà al sindaco Stefàno la piena contrarietà circa la realizzazione di un centro d’identificazione nazionale profughi nel porto di Taranto”. Una mozione che impegni il Sindaco a formalizzare al Ministero dell’Interno “l’impossibilità del Comune a collaborare e ad esprimere la contrarietà della nostra comunità al centro di identificazione profughi del Mediterraneo a Taranto”. Non solo, secondo questa sorta di “Salvini dei due mari”: “nonostante si continui a raccontare che queste persone siano di passaggio e che intendono andar in altri paesi d’Europa, la città di Taranto è da un anno completamente invasa da nord africani agli incroci stradali, davanti ai supermercati o che vagano mendicando per le strade cittadine”.
Un altro esponente politico locale, Renato Perrini, sempre di Forza Italia, ha accostato “l’invio dei rifiuti nelle nostre discariche alla grande emergenza dei migranti”. Taranto è considerata la pattumiera d’Italia, è dunque un altro messaggio che lascia trapelare una parte del dibattito cittadino attorno alla questione profughi, oltre al più classico “non sono razzista ma”. Su questo stesso tenore nell’ottobre scorso si è sviluppato il dibattito attorno alla questione profughi che ha visto coinvolte, in particolare, le periferie romane di Tor Sapienza e Corcolle, con i fascio-leghisti romani in prima fila a soffiare sul fuoco della paura. Esattamente come stanno facendo ora i fascio-leghisti tarantini. Tant’è.
A portare senso logico nei ragionamenti pubblici è intervenuta nelle scorse ore, con una nota stampa, l’associazione di promozione sociale Babele, impegnata da anni nell’accoglienza ai migranti sul territorio tarantino. Secondo la stessa associazione: “Il personale politico di Taranto dovrebbe impegnarsi a chiedere al Governo la realizzazione degli unici percorsi possibili, cioè: pretendere che debba essere loro riconosciuto [ai migranti, ndr] un permesso di soggiorno per motivi umanitari (certamente continuando a garantire l’accesso alla procedura di riconoscimento di protezione internazionale per chi lo vorrà). Individuare percorsi di chiusura dei centri di accoglienza con numeri alti per permettere un lavoro di inclusione sociale reale. L’incentivazione dei percorsi di autonomia e di ricongiungimento delle reti amicali e parentali. E l’ampliamento della rete SPRAR, sensibilizzando così i Comuni alla loro adesione ai progetti e spostando le risorse disponibili dalla gestione dell’emergenza alla gestione dell’ordinario”.
Inoltre, per ciò che riguarda la collocazione nel porto di Taranto dell’Hub, così si esprime Babele: “a noi appare una scelta condivisibile nell’ottica della costruzione di un sistema di accoglienza a valle delle operazioni di salvataggio in mare, che ci auguriamo possano riprendere al più presto nei termini previsti dall’operazione Mare Nostrum. Stante l’attuale situazione politica in Libia è ragionevole aspettarsi che decine di migliaia di migranti forzati possano prendere il mare nei prossimi mesi e, ne prendano atto tutti, sarà nostro dovere salvare le vite di queste persone”. Perché, al di là di ciò che ne pensino i fascio-leghisti locali o nazionali, Taranto è chiamata a giocare una partita, sia umanitaria che geopolitica, di particolare complessità, e certo i semplicismi e l’agitazione delle paure non aiuteranno alla risoluzione della questione. Così come i razzismi più o meno latenti, naturalmente.