Risultano evidenti le sperequazioni socio-economiche crescenti tra Germania e restanti paesi dell’Eurozona. L’impoverimento di vasti strati delle popolazioni europee è un dato di fatto. Tra economisti del mondo accademico italiano è molto acceso il dibattito sulle opzioni da scegliere per invertire la china della crisi del sistema socio-economico italiano, che sembra non avere fine: uscire dalla moneta unica? Uscire dal mercato unico europeo? Ritornare ad un sistema di controllo dei capitali in modo da tutelare le produzioni interne? Cercare di velocizzare, se possibile, il processo di integrazione economica di uno stato federale che non esiste? Il Prof. Claudio Borghi attribuisce sostanzialmente all’Euro la crisi dell’Italia all’interno dell’Eurozona; il Prof. Alberto Bagnai dimostra che l’austerità c’è perché c’è l’euro (quindi non ha senso contrapporre austerità ad Euro) e – valutazione, questa, squisitamente politica – dimostra che l’Euro è stato introdotto sostanzialmente per abbattere i salari reali di molti paesi, tra cui l’Italia; il Prof. Emiliano Brancaccio, in armonia con i precedenti economisti, è convinto che, fermo restando le attuali politiche di austerità e la sostanziale mancanza di armonizzazione fiscale dei paesi dell’Eurozona, l’area Euro sia destinata a “saltare”, ma prevede – a differenza dei citati colleghi – che un’uscita dall’Euro, non accompagnata da una rete di protezione statale di imprese industriali e dei sistemi di credito, costitutisca una soluzione gattopardesca che riproponga in Italia gli stessi problemi causati dall’euro in perfetta continuità con le politiche liberiste del mercato: lasciando le valute alla libera fluttuazione del mercato si favorirebbe la svalutazione immediata della nuova lira ed una probabile stagione di “fire sales”, cioè di svendite di ciò che rimane del patrimonio industriale ed infrastrutturale dell’Italia a pochi capitalisti, oltre che un’ulteriore perdita della quota salari sul reddito. Il Prof. Gustavo Piga è invece convinto che la crisi europea vada risolta con politiche keynesiane di spesa pubblica “anti-austerità” adeguatamente indirizzata in precise direttive di sviluppo e nell’acquisto di “beni sociali”, ma nell’ambito di una maggiore integrazione politica europea: più Europa ed integrazione fiscale.
Dall’associazione politica “Viaggiatori in Movimento” – di cui lo stesso Gustavo Piga è autorevole socio, insieme con altre personalità del mondo imprenditoriale, professionale ed accademico italiano – riceviamo e pubblichiamo una manovra fiscale alternativa alla Legge di Stabilità ed alla Nota di Aggiornamento di Economia e Finanza (DEF).
UN’ITALIA CHE CRESCE:
LA MANOVRA 2014 DEI VIAGGIATORI IN MOVIMENTO
I Viaggiatori in Movimento nel settembre 2012 hanno costituito un’associazione politica che ha elaborato un Programma per risollevare l’Italia dalla sua crisi senza precedenti. Persone unite dall’idea unificante del Viaggio verso nuove mete di sviluppo culturale ed economico, di coesione sociale fatta di opportunità e solidarietà, che si aggregano in un Movimento. Ogni socio ha contribuito a costruire il documento, che potete leggere sul nostro sito www.iviaggiatorinmovimento.it, e che è sempre aperto ai contributi di coloro che s’iscrivono.
I colori del nostro simbolo sono quelli dell’Europa, realtà della quale vogliamo essere parte da protagonisti. Stiamo valutando con insigni giuristi la possibilità di abrogare via referendum lo stupido Fiscal Compact che uccide l’Italia con un’austerità senza precedenti nella storia del nostro Paese, per la prima volta vicino a tre anni consecutivi di recessione.
Pensiamo che per raggiungere questi obiettivi sia necessario ripartire dai giovani, da uno Stato autorevole che si ponga realmente al servizio del cittadino e dalle piccole e medie imprese che rappresentano il cuore pulsante della nostra economia e che non sono protette a sufficienza come invece avviene nel resto del mondo, a partire dagli Stati Uniti.
Noi Viaggiatori intendiamo contrapporre un coraggio programmatico innovativo alla timidezza della politica economica del governo Letta puntando al massimo sul taglio agli sprechi negli appalti, dal quale pensiamo si possano recuperare 10 miliardi. Vogliamo destinare tali risorse a quattro funzioni strategiche:
sicurezza (1,75 miliardi investiti nel turn-over delle forze dell’ordine);
cultura (1,75 miliardi impegnati nell’aumento delle retribuzioni lorde degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado);
giovani (3 miliardi per il finanziamento del servizio civile per 250.000 giovani a 1.000 euro al mese);
ricerca (1,75 miliardi dovuti all’aumento delle retribuzioni lorde dei ricercatori e 1,75 miliardi investiti nella crescita del turn over degli stessi).
In questo modo ringiovanisce la Pubblica Amministrazione e il PIL crescerebbe di 12,2 miliardi.
Inoltre, grazie ad un aumento delle entrate pari a 3 miliardi, legato per 2 miliardi ad una revisione del sistema delle deduzioni/detrazioni a pioggia e 1 miliardo ad un inasprimento dell’IMU sulle seconde case e con 7 miliardi aggiuntivi di deficit, intendiamo finanziare tre spese cardine per il bilancio dello stato:
Gli investimenti pubblici, adesso ridotti al lumicino, con 5 miliardi di finanziamento per un progetto infrastrutturale relativo al porto di Taranto con una ferrovia ad alta capacità verso il Nord, che getti le basi per il rilancio di questo importante interporto strategico sul Mediterraneo. All’interno della nostra proposta si inseriscono progetti quali il “Fresh Port”, che attualmente è portato avanti dall’Autorità Portuale di Taranto, in collaborazione con altri enti pubblici e con una multinazionale, che opera nel settore agroalimentare;
La riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori, per 4 miliardi, un importo pari a più del doppio di quanto stanziato dal governo Letta;
La destinazione di 1 miliardo alla riqualificazione del patrimonio pubblico, piuttosto che una sua cessione, a favore di scuole, carceri e luoghi per l’innovazione delle PMI.
La nostra contro-manovra è perfettamente compatibile con i vincoli europei di finanza pubblica perché genera un rapporto tra l’indebitamento e il PIL pari al 3% (quanto richiesto dai Trattati europei), e produce altresì un effetto “crescita” pari a circa 20 miliardi di euro con un conseguente abbattimento del rapporto debito/PIL.
Dicendo NO all’austerità e puntando su aumenti del reddito al lavoro dipendente, al taglio agli sprechi, investendo sui giovani e dando ossigeno alle PMI, è possibile crescere in ambito europeo innescando un percorso virtuoso in grado di produrre nuovi posti di lavoro, non rinunciando a migliorare i nostri conti.