“Fer la città sovra quell’ossa morte;
e per colei che ‘l loco prima elesse,
Mantüa l’appellar sanz’altra sorte.”(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XX)
Mantova è Capitale Italiana della Cultura per il 2016: la città dei Gonzaga batte le concorrenti e si aggiudica un milione di euro per la realizzazione del proprio progetto legato al concetto di Smart Human City. Dalla Città dei Due Mari si alzano, invece, i soliti piagnistei triti e ritriti. Come se la storia fosse potuta andare diversamente.
Ne avevamo profeticamente parlato in aprile, al seguito del lancio della candidatura da parte di Piero Bitetti e dei fin troppo rapidi lavori del comitato promotore presentati in un tavolo convocato il giorno prima della deadline per la partecipazione alla prima fase. Le linee guida vertevano – come di consueto da queste parti – su brandizzazione, enogastronomia e digitalizzazione.
La prima fase viene, tuttavia, superata ma a questo primo risultato ha fatto seguito la confusione legata alla definizione e scrittura del dossier. Da un report che compare sulla pagina ufficiale della candidatura, si evince che il comitato promotore che ha elaborato le linee guida del progetto è risultato escluso dalla formulazione del dossier per la seconda fase a seguito di una vicenda gestionale piuttosto concitata relativa al reclutamento di un team di collaboratori: alla proposta del comitato di un contributo per il coinvolgimento di personalità del mondo accademico e consulenti di fama internazionale, l’Amministrazione risponde con un avviso pubblico – andato deserto – per l’individuazione del soggetto di collaborazione.
Stando alle ultime notizie, il progetto finale contemplava il recupero di Palazzo delli Ponti nel quale sarebbe stato installato un “hub culturale” (?), i “Viaggi verdi” e tutta una serie di iniziative legate allo slogan “Taranto Città Spartana”: la solita emorragia di iniziative fini a se stesse che portano nulla di duraturo per la comunità. Nella bulimia da promozione turistica che attanaglia questa città, dove non si riesce a comprendere la differenza tra divulgazione delle conoscenze e marketing territoriale, si è preferito puntare ancora una volta sull’effimero piuttosto che sulla produzione reale e continuativa di cultura. Quella visione che ha permesso a Matera di vincere la contesa culturale europea è un esempio che non si riesce proprio a recepire: figuriamoci se il campanile permetterà addirittura di poter imparare da un prodigio così vicino senza essere necessariamente offuscati dalle logiche del mercato e della vanità.
Tra la povertà di idee e la mala gestione di tutta l’operazione, Taranto ha finito con il collezionare l’ennesimo buco nell’acqua. Andavano fatte poche, semplici cose: innanzitutto, dare valore a chi lavora quotidianamente per la città diffondendo conoscenza e creando consapevolezza del patrimonio e della sua storia; poi, attendere. Attendere di analizzare le ragioni delle città vincitrici e gli errori di quelle sconfitte. Una piccola, strategica mossa per poter immaginare e progettare un futuro diverso. Ma pare che fare analisi non vada molto di moda negli ultimi tempi a Taranto…
Non è sufficiente formare un comitato promotore appositamente per partecipare a un bando. La candidatura a una competizione del genere deve necessariamente poggiare su una base solida, vale a dire su un processo avviato da tempo e condiviso dalla comunità che permetta alla città di trarre nuova linfa dalla cultura, pensando innanzitutto a migliorare la vita dei propri cittadini: allora il comitato promotore va ad inserirsi in un discorso che viene portato avanti anche attraverso un altro canale e non si interrompe in caso di mancata vittoria. Di Matera si è detto tanto: da “vergogna d’Italia” a Capitale Europea della Cultura. Mantova, patrimonio UNESCO dal 2008, è una città che si è ripresa dalle terribili scosse del terremoto del 2012 e il manifesto di questa rinascita può leggersi nella riapertura della Camera degli Sposi del Mantegna dopo i restauri post-sisma; per di più può contare su un patrimonio storico artistico di importanza mondiale e ben valorizzato, e su iniziative importanti quali il Festivaletteratura, che nel 2016 giunge alla sua XX edizione. Ecco perché una candidatura come quella di Mantova partiva con una certa forza: perché radicata a una progettualità, a un processo in corso che può giovarsi anche di una somma come un milione di euro. Una somma che non cambia la vita di una città, ma può senza dubbio migliorarla laddove ci siano le basi per far nascere qualcosa di buono e duraturo.
Nel caso di Taranto, dove non è in atto alcun processo di costruzione di una comunità, la candidatura ci è sembrata subito velleitaria in quanto non consentiva di immaginare un domani dal punto di vista delle dinamiche culturali: promuovere una scatola vuota al proprio interno ha dato, infine, il risultato che è sotto gli occhi di tutti. Né si è riusciti a trarre insegnamenti dagli errori passati: non paghi del fallimento della Capitale Europea, ci si è lanciati immediatamente in una nuova impresa kamikaze dalla quale si è usciti, naturalmente, carichi di frustrazione. L’industria e l’inquinamento sono problemi giganteschi e ancora aperti, ma non possono diventare degli alibi che giustifichino l’incapacità progettuale atavica che attanaglia le classi dirigenti che si succedono da oltre vent’anni in questa città. Né si può sperare davvero che a cambiare le sorti di una comunità complessa, sfilacciata e dilaniata da problemi di ogni sorta possano essere le iniziative promosse dai singoli cittadini che, in quanto sortite sporadiche, non garantiscono né una continuità, né un reale impatto sul tessuto cittadino. Qui dovrebbe intervenire una amministrazione consapevole, dove gli assessorati alla cultura e all’urbanistica – due aspetti che sono intimamente connessi, come dimostra il fatto che a vincere è stato il progetto di una “Smart Human City” – non siano “ballerini” ma affidati a esperti che possano progettare seriamente una visione nel lungo periodo, e non interventi limitatamente alla durata del loro mandato, fino al successivo rimpasto. Né si deve pensare che le iniezioni di liquidità da parte del Governo possano essere sufficienti a risollevare una città piegata se non vengono utilizzate in chiave di uno sviluppo anziché, come siamo abituati, come una terapia del dolore che si somministra a un malato terminale (si veda il recente e illuminante intervento di Salvatore Romeo).
Le recriminazioni della comunità devono andare nel senso di una cultura che crei lavoro per i suoi operatori che, gratificati nella loro professionalità, possano adempiere alla loro missione di divulgatori della conoscenza che, in questa città, è sempre più lasciata alla mercé dell’improvvisazione. Solo così si potrà sperare in un futuro diverso per Taranto. Magari alla fine ci verranno anche i turisti, ma intanto i cittadini sarebbero certamente più contenti di vivere in una realtà più viva. Il riconoscimento in chiave reddituale della professionalità di chi ha investito – e investe – la propria esistenza nello studio e nella diffusione del sapere è la chiave per uscire da questo pressappochismo culturale che sta soffocando Taranto.
Noi operatori della cultura dovremmo far sentire sempre più forte la nostra voce in una vertenza – quella culturale appunto – sulla quale si gioca il futuro di questa città, che rischia di essere consegnata definitivamente e in maniera irreversibile al volontariato e all’approssimazione: che equivale a dire lasciarla morire.
StecaS