Un problema che persiste nella ricostruzione storica della Taranto arcaica è quello di determinare le varie fasi evolutive delle forme istituzionali che governarono la città tra il VII e la prima metà del V secolo a.C.
L’arrivo dei Parteni sulle coste di Saturo fu causa della diaspora delle popolazioni iapigie che abitavano i territori della futura polis. I greci avanzarono verso Nord-Est occupando o distruggendo i villaggi indigeni e arrestandosi poi sul promontorio che si affacciava sull’istmo naturale di collegamento tra i due mari. Successivamente, i coloni divisero l’area occupata in tre zone ben distinte: acropoli, centro abitato e necropoli. L’acropoli occupava l’allora penisola oggi conosciuta come Città Vecchia; il centro abitato partiva dall’attuale Canale Navigabile fino ad arrivare a Piazza Maria Immacolata; da quest’ultima, fino alla zona della Salinella, si estendeva la grande necropoli. I greci, già conoscitori delle varie evoluzioni tecniche e architettoniche, iniziarono ad abbellire la città con grandi monumenti: costruirono l’agorà, centro delle attività politiche, commerciali e sociali delle poleis elleniche, e numerosi insediamenti agricoli sparsi per il territorio.
I tarantini istituirono un regime di carattere oligarchico, il cui controllo era detenuto dall’aristocrazia cittadina; tuttavia, come fosse costituito tale governo è ancora da decifrare. Nei suoi scritti Erodoto, parlando di Taranto, accennava ad un certo Aristofilide come basileus dei tarantini, termine interpretabile con il suo puro significato di “re”, supponendo quindi una sorta di governo gemello della madrepatria Sparta, sebbene il governo lacedemone fosse formato da due reggenti; sarebbe bensì molto più probabile che, in questo caso, lo storico usasse tale termine nell’accezione di “tiranno”, che in tempi antichi non rappresentava necessariamente un dittatore, ma poteva anche essere un magistrato eletto, in questo caso, dai personaggi abbienti della città. Lo stesso Aristotele descrisse il governo di Taranto come una politeia, cioè un regime moderato sotto il controllo del ceto nobiliare.
Tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. il governo oligarchico sembra dividersi in due linee di pensiero, come dimostrano i vari ritrovamenti sepolcrali della necropoli arcaica: si può notare, infatti, che a tombe singole, costituite da sarcofagi rassomiglianti a tempietti, che evidenziano soprattutto la figura di atleta del defunto e lo innalzano al di sopra degli altri cittadini (un esempio è la famosissima “tomba dell’atleta” ritrovata in via Duca di Genova), si contrappongono grandi tombe a camera comunitarie, che riproducono la stanza del simposio (Tomba degli atleti di via Crispi), dove gli individui maschi usavano riunirsi. Molto probabilmente la costruzione delle tombe a camera simposiali derivava da un’influenza prettamente attica, dovuta ai numerosi ed intensi scambi commerciali, come dimostrano i ritrovamenti ceramici. Probabilmente questo stesso ascendente attico-ateniese, tendente ad una forma politica di stampo democratica, fu uno dei motivi della crisi di governo di metà V secolo a.C.
L’inizio della decadenza del governo oligarchico fu conseguente alla spinta imperialista di Taranto nelle zone iapigie della Puglia, dove i greci pensavano di allargare la propria zona di controllo e l’importazione di schiavi. Queste guerre furono combattute in un’epoca in cui i greci e i loro coloni si trovarono contrapposti alle popolazioni “barbariche” sia in Italia sia ai confini con l’impero persiano. La presenza di due anathemata (donari) a Delfi indica che la campagna imperialista ebbe una spinta vittoriosa agli inizi del V secolo a.C. Un evento tragico della guerra contro gli iapigi fu la distruzione di Carbina (Carovigno), dove i soldati tarantini fecero razzia e perpetrarono ogni genere di violenza sulla popolazione; una leggenda racconta che lo stesso Zeus, indignato da tanta crudeltà, fulminò i soldati che si erano macchiati di tali oltraggi. L’espansione dei tarantini ebbe termine dopo una terribile sconfitta, subita per mano di una coalizione di popoli iapigi, che procurò perdite gravissime ai nemici. Erodoto chiamerà tale evento “la più grande strage di greci”.
L’eccidio dei soldati di Taranto, prettamente nobili che formavano sopratutto la leggendaria cavalleria tarantina, famosa in tutte le poleis greche, provocò tumulti all’interno del governo della città, dal momento che le perdite avevano indebolito in maniera rilevante l’istituzione aristocratica reggente. Molti sono ancora i dubbi su cosa sia effettivamente avvenuto in quel periodo, ma fatto sta che da quel momento in poi a Taranto si ebbe un governo democratico, che effettuò una serie di iniziative atte a riformare la struttura sociale e topografica della città: la costruzione della grande cinta muraria orientale, la ridistribuzione della proprietà terriera e l’inurbamento della popolazione, che ora poteva partecipare attivamente alla vita dello Stato. Per quanto riguarda la politica estera, fallita l’espansione nell’area apula, le attenzioni si riversarono nell’area siritide dove la nuova colonia panellenica e filoateniese di Turi rappresentava una minaccia per l’influenza di Taranto. La crisi tra Taranto e Atene, potenza in netta espansione nell’area adriatica e ionica, provocò un riavvicinamento con Sparta: la città ionica si schierò con i lacedemoni durante la guerra del Peloponneso, non entrando direttamente nel conflitto, ma ostacolando in tutti i modi i piani ateniesi. Dopo la fine della guerra tra Atene e Sparta, e con il declino della potenza attica, la figura di Taranto, come potenza politica ed economica, prese a condizionare la storia della Magna Grecia e dell’Italia: una influenza che raggiungerà l’apice con il governo del più grande statista del IV secolo a.C.: Archita.
BIBLIOGRAFIA
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